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Pignoramento immobile in comproprietà: chi paga le spese?

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Nelle procedure esecutive immobiliari talvolta accade che l’immobile oggetto di esecuzione non sia del solo debitore ma, contestualmente, di altre persone (fratelli, parenti, altri comunisti etc..).

In questi casi, infatti, la legge non vieta al creditore di procedere all’esecuzione forzata immobiliare, potendo costui ugualmente pignorare la quota di proprietà del suo debitore.

Inizia così l’esecuzione immobiliare su “beni indivisi”, definita come quell’esecuzione che ha per oggetto la quota del diritto di proprietà di un immobile in comunione.

 Data la preferenza, espressa dall’art. 600 c.p.c., per la vendita dell’intero immobile in comproprietà risulta  necessario comprendere chi paghi le spese procedurali per la vendita disposta dal giudice e, più nel dettaglio, se queste gravino anche sui comproprietari non esecutati, totalmente estranei alla vicenda debitoria.

Più nel dettaglio, occorre comprendere se costoro siano tenuti a pagare le spese dovute per la vendita dell’immobile di loro comproprietà (si pensi alle ingenti spese per la pubblicità immobiliare, spese legali etc..), provocata dall’iniziativa del creditore del comproprietario esecutato e disposta dal Giudice o se invece abbiano diritto al ricavato della vendita al lordo di ogni spesa.

Il procedimento tramite il quale si vende all’asta, per l’intero, l’immobile in comproprietà per far sì che il creditore si soddisfi sulla parte di ricavato del suo debitore viene definito procedimento di divisione endo-esecutiva ed è proprio in appendice a tale procedura che vanno svolte le seguenti considerazioni.

i comproprietari non esecutati sono tenuti a pagare le spese della divisione endo-esecutiva?

La risposta non è di poco momento considerando che i comproprietari non esecutati rischiano, dopo essersi visti vendere (con la forza) l’immobile in comproprietà, di doverne pagare anche le spese.

Tantomeno può dirsi che la risposta sia unanime, registrandosi sul tema due opposti orientamenti.

Secondo un primo indirizzo, i comproprietari non esecutati sono tenuti a partecipare alle spese dovute per il procedimento di divisione endoesecutiva. In particolare, l’art 600 c.p.c. dispone che il giudice, quando risulterebbe infruttuoso vendere la sola quota, dispone la divisione “a norma del codice civile”.

Secondo questa corrente, dunque, il richiamo alla divisione secondo le norme del codice civile fa sì che le spese debbano gravare sulla massa.

Infatti, nel giudizio di divisione ordinario, quello richiesto dal comproprietario che voglia sciogliersi dalla comunione del bene, le spese per il procedimento divisionale vengono suddivise tra le parti pro quota.

“Nei procedimenti di divisione giudiziale, le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione” (Cass., sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22903).

Questo ragionamento varrebbe quale criterio ordinario di riparto tra i comproprietari, secondo questo indirizzo, anche per la divisione endo-esecutiva.  Pertanto, le spese per la perizia, per la pubblicità finalizzata alla vendita e per ogni altra spesa necessaria alla divisione dovranno essere spalmate su ogni comproprietario in ragione della quota posseduta da ogni uno.

Secondo tale orientamento, di fatto, non vi sarebbe differenza tra la divisione promossa da altro condividente e quella nascente da esecuzione e, pertanto, non vi sarebbe ragione di differenziare nei due casi il regime delle spese deviando dalla regola dell’interesse comune alla divisione, in forza della quale i comproprietari sono tenuti a rimborsare chiunque abbia compiuto atti utili alla divisione le relative spese, ma sempre in proporzione alla propria quota e, entro questo limite, solidalmente al condividente debitore.

Secondo un diverso orientamento, cui si ritiene di aderire,  le spese del procedimento di divisione endo-esecutiva devono gravare sul solo comproprietario esecutato e ciò, fondamentalmente, per quattro ragioni.

 

  1. Innanzitutto, non può equipararsi l’utilità che riceve il condividente dal giudizio di divisione ordinario a quella che egli ne riceve dal giudizio di divisione coatto, introdotto all’esito di una procedura esecutiva immobiliare. Più nel dettaglio, mentre nella divisione ordinaria il comproprietario ha un suo interesse alla divisione ed in tale ottica ne riceve una certa utilità (la liquidazione della sua quota), nel procedimento di divisone endo-esecutiva il comproprietario non esecutato subisce la vendita forzosa del suo immobile senza ricavarne alcun utile e senza avervi alcun interesse. Da qui se ne deduce che mentre nella divisione ordinaria, il comproprietario paga le spese perché proiettate ad una sua utilità non si vede la ragione perché ciò debba avvenire anche nella divisione esecutiva ove l’utilità è solo virtuale e appartiene, concretamente, al solo creditore! In tal senso si sono orientati di recente i Tribunali di Pavia e Genova (vedi “Istruzioni Tribunale di Genova” e “Istruzioni Tribunale di Pavia”), i quali hanno statuito che nella suddivisione delle spese di procedura con riferimento ai giudizi divisionali scaturiti da procedure esecutive … il comproprietario non debitore che subisca l’esecuzione avrà diritto di ottenere la propria quota del ricavato al lordo delle spese.
  1. In secondo luogo, il principio per cui i comproprietari non esecutati debbano partecipare alle spese per la divisione endo-esecutiva, determinerebbe una evidente sperequazione a vantaggio del creditore di un debitore titolare di una quota dell’immobile, rispetto al creditore di un debitore titolare di un intero immobile. Infatti, nel caso di vendita all’asta, quest’ultimo deve sottrarre dal ricavato della vendita tutte le spese necessarie alla stessa da lui anticipate, mentre il creditore di un debitore titolare di una quota finirebbe per ripartire i costi della vendita con i comproprietari non debitori ricavandone un iniquo vantaggio rispetto al creditore di un debitore titolare di un intero immobile e ciò a danno, peraltro, di soggetti del tutto incolpevoli quali sono i comproprietari non debitori. Per fare un esempio: Tizio, creditore di Caio, nel caso in cui Caio sia comproprietario di un immobile insieme ai suoi due fratelli Sempronio e Mevio, si vedrebbe “pagate” le spese della divisione endo-esecutiva dai comproprietari godendo, dunque, di un più alto ricavo. Al contrario Tizio, creditore di Caio, nel caso in qui Caio sia proprietario interamente di un immobile dovrebbe decurtare le spese dal solo ricavato della vendita dell’immobile.
  1. Inoltre, la costante giurisprudenza della Cassazione per l’analogo caso della vendita di un immobile in regime di comunione legale tra i coniugi, ha sempre spiegato che il comproprietario non debitore (l’altro coniuge nel caso) ha diritto “al controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva, neppure potendo a lui farsi carico delle spese di trasformazione in denaro del bene (cioè quelle della procedura medesima), rese necessarie per il solo fatto del coniuge debitore, che non ha adempiuto i suoi debiti personali.”(Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 14-02-2012) 14-03-2013, n. 6575)  Principio confermato da civ. Sez. III, Sent., (ud. 21-01-2016) 31-03-2016, n. 6230, la quale ribadisce il diritto del coniuge comproprietario alla metà del ricavato della vendita del bene al lordo di tutte le spese esecutive “non potendo farglisi carico anche delle spese di una liquidazione che già ha luogo contro la sua volontà”. Pertanto, se nel caso del coniuge comproprietario non esecutato, la Giurisprudenza è stata unanime nel riconoscere la metà del ricavato al lordo di tutte le spese, non si vede perché vada discriminata la non dissimile situazione del comproprietario non esecutato che non sia coniuge.
  2. Non in ultimo, la più recente giurisprudenza di legittimità ha spiegato che la divisione endo-esecutiva, lungi dall’essere un autonomo procedimento (come sostenuto dalla teoria opposta e dai precedenti arresti), risulta essere un’articolazione della procedura esecutiva (“ il giudizio di divisione endoesecutiva non è affatto autonomo dal processo di espropriazione, ma si trova in rapporto di “strumentalità necessaria rispetto ad esso.” (Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 16-04-2019) 07-10-2019, n. 2502). Tale assunto conferma ancor di più che il procedimento in esame non costituisce una parentesi di cognizione ordinaria “calata” nel bel mezzo di una procedura esecutiva, quanto piuttosto un’articolazione della procedura esecutiva stessa. Ne discende che non si possono mutuare le regole “ordinarie”, quale il principio per cui le spese gravano sulla massa, per una procedura che ordinaria non è.

Tale convinzione, per cui la divisione endoesecutiva costituisce una parentesi di cognizione nella più ampia compagine esecutiva, deve ritenersi, pertanto, oramai superata.

Il riconoscimento di una divisione endo-esecutiva (che ordinaria non è) produce quale primo risultato che non vi si possano applicare analogicamente norme che non tengono conto delle numerosissime differenze tra la stessa e la divisione ordinaria.

Nell’una libera scelta, nell’altra coazione ed esecuzione. Nell’una scelta autonoma dei tempi per la vendita, nelle altre aste scadenzate e compulsate dal creditore. Nell’una utilità dei condividenti, nell’altra utilità del solo creditore.

L’unica analogia tra le due divisioni verrebbe dunque ad essere, in ultima istanza e con un certo sgomento, la condivisione delle spese.

Insomma, considerando che le divisioni endo-esecutive sono divenute “la regola” per l’espropriazione forzata su beni indivisi appare giusto che le stesse seguano, per le motivazioni predette, il secondo indirizzo citato.

In tal senso, per motivi di ordine logico, giuridico e di equità deve ritenersi che, nel procedimento di divisione endo-esecutiva, le spese della procedura debbano gravare unicamente sul comproprietario debitore il quale, con il suo comportamento, ha provocato l’esecuzione immobiliare.

Tale orientamento appare, del resto, in armonia con il dettato costituzionale e non vulnera il principio di uguaglianza al pari del suo contrapposto indirizzo.

Ciò senza contare che al creditore procedente è già fornito un importante strumento consistente nella possibilità di sciogliere, motu proprio, la comunione sul bene oggetto di esecuzione. Il dilagamento dell’indirizzo opposto potrebbe consentire al creditore non solo di sciogliere la comunione, potere già consentitogli, ma di poterne anche profittare a scapito degli altri comproprietari incolpevoli!

Tale meccanismo, considerata la convenienza del creditore, favorirebbe senz’altro il proliferare di esecuzioni immobiliari su immobili in comproprietà con la conseguenza che a farne le spese rischiano di essere (ingiustificatamente) i comproprietari non debitori.

Avv. Daniele Giordano

(collaboratore dello Studio d’Ambrosio Borselli presso la sede di Napoli)

Per saperne di più sul pignoramento immobiliare in generale e sulle possibili opzioni a disposizione dei debitori in difficoltà per salvare il proprio immobile si legga anche  gli articoli “Opposizione all’esecuzione e tutela del diritto all’abitazione” ,  Pignoramento immobiliare costi e tempi con tutte le modifiche aggiornate al 2020- Soluzioni per Salvare casa”

Per approfondire l’eccezionale risultato ottenuto dallo studio che, tra le altre, ha ottenuto l’omologa di un piano del consumatore proposto in corso di pignoramento, salvando in tal modo la casa del debitore, con il pagamento del solo 37% del mutuo originariamente dovuto in 7 anni da parte sua si legga “Omologato piano del consumatore in corso di pignoramento immobiliare”

Chi fosse soltanto comproprietario del bene pignorato e volesse sapere come tutelare se stesso e gli altri comproprietari (spesso dei familiari) sfruttando a proprio favore la contitolarità del bene legga “Espropriazione dei beni in comproprietà, tutela del debitore esecutato .

Per approfondire il tema dell’opponibilità del diritto di abitazione della casa coniugale al pignoramento immobiliare si legga “Opponibilità nell’esecuzione immobiliare del provvedimento di attribuzione del diritto di abitazione della casa coniugale, escursus giurisprudenziale fino alla sentenza 7776 del 2016 della Corte di Cassazione“,

 

Chi stesse valutando di presentare una proposta a saldo e stralcio per definire il proprio debito derivante da un mutuo, che sia già in corso il pignoramento immobiliare, o che ancora la banca non abbia avviato la procedura, legga Guida al saldo e stralcio del mutuo: quanto offrire e come rateizzare l’importo, con modelli di proposta e accettazione”

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Avv. Edgardo Diomede d’Ambrosio Borselli

Iscritto “all’Albo Avvocati di Napoli”

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